venerdì 27 gennaio 2012

venerdì, 06 marzo 2009
Dove finisce la chirurgia e inizia la violenza corporea legalizzata  
Ebbene sì. Scrivo dal letto di casa mia con il computer appoggiato sulle gambe: sono uscita ieri dall'ospedale - un interventino di routine, aveva detto qualcuno che conosco.
Intendo esporre una testimonianza, perciò partirei dai pregiudizi. La mia idea su tutta la questione era la seguente: vai in ospedale, arriva l'infermiera a chiamarti, ti spogli nudo e ti metti quel camice che va indossato al rovescio con il culo all'aria, e vieni portato in sala operatoria. Fine. La parte più traumatica, mi dicevo, saranno i dolori al risveglio. Sbagliato. La parte più traumatica si rivelò essere proprio il "viaggio" fino alla sala operatoria. Perchè, non si sa per quale motivo, non è che ci arrivi con le tue gambe, no! Ti sdraiano sul lettino con le rotelle trasportato da due infermiere che parlano del curioso look di Arisa mentre tu (come nel Padrino 2) stai dicendo l'ultima ave maria. Possiamo discuterne quanto volete, ma ditemi se trattare come malato uno che è perfettamente sano (per un arco di tempo sufficientemente prolungato) non condurrebbe chiunque alla pazzia. Per fortuna, o sfortuna, il tragitto è breve e giungo alla sala ancora munita di senno e coscienza. Una volta entrata, mi sbattono vicino a una donna appena operata, i cui lamenti del tutto legittimi ma strazianti mi riportano direttamente all'Inferno, e precisamente al Canto Terzo: "Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere senza stelle per ch'io al cominciar ne lagrimai" e, come Dante, io iniziai a frignare. Poco dopo mi portano in un'altra stanza, dove mi bucano il braccio e io attendo il momento di addormentarmi. "Non contiamo fino a 10?" chiedo all'infermiera. Mi guarda sorridendo. "Guardi che questa è solo la flebo di sale e zucchero!", mi spiega. Dopodichè (la sottoscritta continua a piangere) arriva la dottoressa, colei che mi avrebbe operato. "Salve, volevo dirle che ci siamo dimenticati di farle firmare due documenti importanti....ecco se può fare una firma qui e un'altra qui...no no usi pure la destra nonostante l'ago infilato al polso..." e mentre lei se ne va con i fogli firmati in mano io mi sto ancora chiedendo qual era la seconda cosa che avevo appena firmato, ma ormai è troppo tardi. Vengo portata nella sala operatoria vera e propria, attraverso un corridoio di tot sale con le porte aperte e con altrettanti interventi in corso. "Guardi dall'altra parte", mi avverte l'infermiera. Non deve ripeterlo 2 volte per convincermi. Entriamo nella "mia" sala. Attendo l'anestesia, ma prima ancora che arrivi, inizia uno dei quarti d'ora più strazianti della mia vita. "Allora, si metta qui: scivoli su quest'altro letto." "Una gamba qui e l'altra lì" (posizione del ginecologo, io continuo a piangere) "Adesso un braccio qui, lo tenga molle" "l'altro braccio glielo infiliamo qui sotto" "Ma perchè il letto è storto?" "Perchè la paziente sennò è storta" "Ma non possiamo raddrizzare la paziente?" "No ormai è immobilizzata, va bene così"...(E non sto inventando NIENTE). Dopodichè, finalmente, un'adorabile infermiera mi guarda e dice "E' arrivata l'ora del cocktail, non pianga più...." et voilà, l'ultimo ricordo, come nei film, sono le 7 lampadine rotonde, accese sopra il mio corpo. Al risveglio, contraddistinto da convinti schiaffi in faccia gentilmente offerti da un giovane infermiere, vengo riportata nella mia stanza, rimessa sul letto numero 11. Mia madre mi viene vicino mentre io nuovamente mi riaddormento. Vengo risvegliata per...la cena. "Come cena? Ma io ero sotto anestesia poche ore fa!" "Non si preoccupi, un po' di tè e un paio di fette biscottate non potranno che farle del bene!", l'infermiera suona convincente. Bevo un po' di tè: in un attimo divento verde e vomito l'anima nella busta della Fnac. Mi riaddormento, ma vengo risvegliata da qualcosa di viscido tra le dita. Sangue. Tolgo la coperta di dosso e...tadaaam (scena del Padrino testa del cavallo tra le lenzuola), il tubicino che drena il sangue dal buchino sulla pancia si è spostato e il sangue se ne esce in giro per il letto. Chiamo le infermiere, mi fanno alzare dal letto (dolori lancinanti), mi fanno sedere su una sedia (è notte ho freddo ho male e sono incazzata), mi cambiano le lenzuola e mi intimano di risalire sul letto (dolori lancinanti), "Domani mattina, mi dicono, se va tutto bene va a casa". Mi riaddormento con queste parole fiduciose e mi risveglio con l'ovvia constatazione che non va tutto bene. Inizio a gridare dal dolore. Mi portano un antidolorifico. Non basta. Ne voglio un altro. "Signorina non possiamo dargliene due così ravvicinati", mi dice l'infermiera mentre mi attacca la seconda flebo di antidolorifico. Sto forse per ritrovare la pace dei sensi, quando un'infermiera arriva a staccarmi la flebo per mettermi su una sedia a rotelle e portarmi in giro per l'ospedale. Finalmente arriviamo davanti a una porta, lo studio 4. Mi volto indietro per dire all'infermiera che ho troppo male per stare seduta in quel modo ma è già sparita. Aspetto davanti alla porta per una buona mezz'ora. La sedia a rotelle è vecchia e non ha nemmeno un poggiapiedi. Sono scomoda e dolorante e tanto per cambiare piango ancora. Finalmente, un uomo apre la porta: Venga, dice ridacchiando. Poi fa uscire un'infermiera che mi accompagna dentro (ah dimenticavo, la sedia a rotelle è talmente vecchia che non puoi autocomandarla). Dentro, mi effettuano un'ecografia transvaginale, una passeggiata se non hai appena subito un intervento e se non hai le mestruazioni in corso. "Poverina", mi dice "le sono anche arrivate!" Già, ho fatto bingo, rispondo. Mi riportano su, dove spero di ritrovare la flebo bruscamente abbandonata, ma non c'è più. Chiamo l'infermiera e me ne faccio attaccare una terza, i dolori sono troppo forti. Mi faccio una ragione constatando che l'intervento era una di quelle cose da fare per forza, insomma, l'idea che non ci fosse un'alternativa mi consola. Ed ecco, finalmente, arrivare un medico. "Ho una notizia buona e una cattiva," mi dice. "Escludendo una premessa anch'essa cattiva". "Inizi dalla premessa", lo invito. "Come avrà capito, non andrà a casa oggi". "Immaginavo. Ora mi dica la buona". "La buona è che non soffre del male che avevamo diagnosticato prima dell'intervento" "Ma questa è un'ottima notizia!", sorrido pensierosa. "Mi scusi....ma questo significa che ho fatto l'intervento per niente?", gli chiedo. Silenzio. E poi: "Ehm...stavo arrivando a quella cattiva...."

Scritto e diretto da: miazalica a 20:50 | link | commenti (3) |


#1   06 Marzo 2009 - 21:02

 
come diceva qualcuno..tutto è bene quel che finisce bene..=) e ancora complimenti alla nosta sanità.Spero di averne bisogno il meno possibile.. o_O
Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Blocca questo utente Davidian
#2   06 Marzo 2009 - 21:19
 
ti capisco tantissimo..dalla tua descrizione ho avuto anchio un intervento simile..hai tutta la mia comprensione!..
Non sei la prima persona ke sento alla quale hanno fatto un intervento inutile..
1 bacione grande e un grosso abbraccio
La mia homepage: http://lalunaelestelle.splinder.com Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Blocca questo utente LaLunaEleStelle
#3   06 Marzo 2009 - 21:44
 
non ci posso credere...
a presto, treasure
utente anonimo  

Nessun commento:

Posta un commento