giovedì 10 ottobre 2013
Colonscopia...al naturale
- "Muore dopo colonscopia: nove gli indagati"
- "Decesso dopo la colonscopia, figlia presenta denuncia"
- "Gli bucano l'intestino, morte post colonscopia"
e così via.
Rincuorata da questi articoli rassicuranti, ne ho cercati altri, ed ho trovato materiale decisamente più divertente. Erano i racconti di alcuni scrittori americani che raccontavano la loro esperienza della colonscopia. Facevano molto ridere. E non mettevano paura. Soprattutto perchè quando raccontavano del momento "X" dicevano di non ricordarsi più niente perchè erano sedati.
"Cosa sarà mai, allora?!" mi son detta. "Un'altra di quelle esperienze che sfoceranno in un inutile post del mio blog", pensavo. Materiale comico, mi dicevo.
Invece no.
Anzitutto, prima del giorno della colonscopia parte la dieta senza scorie. Non è nemmeno tanto pesante, se non sei reduce da un mese di Dukan con scarsissimi risultati, dopo il quale non vuoi vedere un pollo o un uovo neanche disegnato su una busta di plastica. Ma tant'è. Per fare la colonscopia è necessario mangiare senza scorie nei tre giorni precedenti l'esame, e poche chiacchiere. Dopodiché arriva l'ora dei lassativi. Ora io non dico che si tratti di una cosa disumana. Ma bere 2 litri di lassativi in sole 2 ore è alquanto nauseante. Anche bere 2 litri d'acqua in 2 ore lo sarebbe. Ma con quella polverina micidiale dentro è una vera sfida. Chiaramente le bustine fanno il loro effetto dopo poco e sai che passerai la serata e tutta la notte nella "sala delle letture", ovvero il bagno. Per i sederi più delicati, come quello della sottoscritta, consiglio vivamente le salviette umidificanti e tanta, tanta pasta Fissan, quella che si usa per i culetti dei bambini. Perché, vi assicuro, farà mooolto male.
La mattina dopo ti svegli e l'ultima cosa che vorresti fare è bere altri 2 litri di acqua mista alla polverina magica. Invece ti tocca. Ormai solo sentire quell'odore ti dà i conati di vomito, ma è obbligatorio bere 4 litri, ne va della buona riuscita dell'esame. E nessuno vorrebbe rischiare di dover fare due volte una colonscopia. Quindi chiudi gli occhi, il naso, e la porta del bagno e bevi ancora. Mandi giù sorsate di lassativo come fosse un fresco boccale di birra in un pomeriggio assolato d'estate. E continui a rimanere incastrato nel bagno, con tutto ciò che ne consegue, per tutta la mattina.
Poi, finalmente, arriva il momento in cui smetti di tormentare quella povera tazza, che non ce la fa più di vederti. Ti lavi, ti vesti e ti prepari per andare in ospedale a farti mettere un tubo di 80 cm nel didietro.
Prima di entrare nella sala, ti ricordi le parole di alcuni amici che hanno subito la stessa tortura "Mi raccomando, l'importante è che tu sia sedata, sennò son cazzi..."
Ed eccola, l'infermiera. E' arrivata a prenderti, e ti trascina letteralmente, spingendoti tra le scapole, nella stanza delle colonscopie. Le dici: "sedazione, sedazione, sedazione". Lei risponde dicendoti "Ma che bel nome che hai!" Tu ribadisci: "sedazione, sedazione" e lei ti dice di andarti a cambiare nello stanzino apposito.
Una volta rientrata nella sala colonscopie con un pareo bianco che reca il nome dell'ospedale tutto intorno, ti fanno sdraiare e tu ripeti "sedazione, sedazione...". Al che, finalmente senti proferire dall'infermiera le parole "Allora se proprio insiste le facciamo la sedazione!" Sorridi. E poi sorridi ancora. Ce l'hai fatta. Ma l'infermiera inizia a stringerti l'elastico intorno al braccio con aria preoccupata: "E dove sono queste vene? Figlia mia, sei proprio senza vene!" Ma cosa vuol dire che sono senza vene? Da che mondo è mondo mi hanno infilato gli aghi dove dovevano infilarli e adesso, a 29 anni, non mi si vedono più le vene? "Senti, dovrò infilarti l'ago nella mano...va bene?" "Va benissimo", rispondo ansiosa, osservando gli spaventosi strumenti intorno al letto. Sento infilare l'ago, e penso "E' fatta. Basterà che io conti fino a dieci e poi..." "Mannaggia, si è rotto l'ago!" grida l'infermiera. "Senti, tesoro, mi sa che dovremo fare senza sedazione...è che proprio non hai vene...." e tu stai per piangere. Poi, l'infermiera aggiunge altre due paroline. Le paroline che non vorresti mai sentire, dirette a te. Soprattutto, non in un ospedale. "...povera creatura". Sì. L'infermiera ti descrive proprio così e intanto arriva il medico che si posiziona esattamente dietro di te, all'altezza del sedere, e dice "Ora sentirà un po' di fastidio". E in quel momento, inizia.
Fastidio???? Non credo sia esattamente la parola che userei io per descrivere quello che avrei sentito di lì a un minuto. Piuttosto, direi "Si allacci le cinture e si prepari a provare un'esperienza di pre-morte". Perché di fatto quello è. Oltretutto, dura un sacco. E tu hai tempo di pensare a un mucchio di cose in quei minuti infiniti di agonia. E, soprattutto, la tua temperatura corporea sale a circa 600 gradi, perciò non consiglierei di ripetere il mio errore: fare l'esame con un maglione di lana addosso. Un'altra cosa utile da sapere, se vi state apprestando a fare una colonscopia, è che il dolore non cessa nel momento in cui il medico estrae il tubo dalle vostre interiora. No. Il dolore cessa parecchie ore dopo e, nel frattempo, non vi resta che sopportare e soffrire in silenzio. Anche la temperatura corporea resterà elevatissima per parecchio tempo. Per esempio io sono entrata in ospedale con maglione, cappotto e sciarpa e sono uscita in maniche corte, piegata in due dal dolore e avevo ancora caldo.
Riassumendo, ecco i miei consigli per chi si appresta a fare una colonscopia:
1. prima di tutto accertatevi che non vi sia nessuna alternativa, solo in quel caso rassegnatevi al vostro destino
2. leggete pure tutti gli articoli sui morti per colonscopia che trovate in rete. accertatevi quantomeno di non dover fare il vostro esame in uno di quegli ospedali e, nel caso, cambiatelo
3. non leggete i racconti comici di chi vi racconta una versione da cartone animato della colonscopia: gli unici racconti di cui potete fidarvi sono quelli di chi ha subito una colon al naturale, come il tonno in scatola
4. chiedete di essere sedati
5. chiedete di essere sedati
6. chiedete di essere sedati
7. per evitare che non vi trovino le vene, ripassatele con un pennarello sul braccio la mattina prima di recarvi in ospedale. meglio ancora se usate un evidenziatore verde fosforescente
8. se per qualche strano motivo decideranno di non sedarvi, pregate il signore o chi per lui che finisca il prima possibile
9. non, e ripeto, non recatevi all'esame con un maglione di lana addosso
10. andate all'esame accompagnati. una volta usciti, dovrete sfogare la vostra rabbia su qualcuno, e la cosa vi farà sentire molto meglio.
lunedì 7 ottobre 2013
Perinzia
Seguendo con esattezza i calcoli degli astronomi, Perinzia fu edificata; genti diverse vennero a popolarla; la prima generazione dei nati a Perinzia prese a crescere tra le sue mura; e questi a loro volta ragiunsero l'eta' di sposarsi ed avere figli.
Nelle vie e piazze di Perinzia oggi incontri storpi, nani, gobbi, obesi, donne con la barba. Ma il peggio non si vede; urla gutturali si levano dalle cantine e dai granai, dove le famiglie nascondono i figli con tre teste o sei gambe.
Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che tutti i loro calcoli sono sbagliati e le loro cifre non riescono la descrivere il cielo, o rivelare che l'ordine degli dei e' proprio quello che si rispecchia nella citta' dei mostri".
Italo Calvino - Le città invisibili
venerdì 4 ottobre 2013
Le 13 domande
Al termine di una delle nostre estenuanti riunioni, inviai le seguenti 13 domande a uno degli altri aspiranti giornalisti disperati, in cerca di conforto e desiderosa di condivisione. Si trattò del primo esemplare di un vizio che sarebbe durato per parecchi anni.
1) Perché ogni volta, immancabilmente, lì dentro mi viene sonno?
2) Perché XX mi sembra sempre più grosso ogni volta che lo vedo?
3) Perchè ad un certo punto, ogni volta, iniza a venirmi mal di testa?
4) Perché YY ha quel tono di voce privo di modulazioni?
5) Perché YY ha quella erre moscia fastidiosa?
6) Perché YY assomiglia al suo cane?
7) Perché ogni intervento di XY mi è completamente indifferente?
8) Perché ogni volta si chiacchiera e si chiacchiera e si torna a casa con un foglio bianco?
9) Perché capita che qualcuno si metta a controbattere alle stronzate di XX?
10) Perché WX e WY non ci sono quasi mai?
11) Perché non fingo mai impegni per andarmene prima?
12) Perché davanti a quel tavolo non ho mai nulla da dire?
13) Ed infine, perché la WX si ostina a non portare il reggiseno?
Ancora oggi, durante alcune infinite riunioni d'ufficio, invece di prendere appunti, stilo lunghi elenchi di domande. Solo che poi non so a chi mandarle e sono destinate a finire, inesorabilmente senza risposta, dritto nel tritacarte.
martedì 1 ottobre 2013
Malintesi
giovedì 26 settembre 2013
martedì 10 settembre 2013
24 sfumature di Get Lucky
Autunno 2012, in uno studio di Parigi.
- Ok ok ce l'ho, la canzone farà così: taa tatataaaaa tatataaaaa tatataaaaa...
- Bene, bene, la melodia mi piace...e poi come farà?
- E poi: we're up all night to get lucky, we're up all night to get lucky, we're up all night to get lucky...
- Ok, ok, afferrato il concetto, quindi quante volte di seguito, 4? 6? ..8?
- 24.
- 24?
- 24.
- Non funzionerà mai.
martedì 3 settembre 2013
Sui ritardatari
mercoledì 10 luglio 2013
lunedì 27 maggio 2013
Ester e Foster - alieni in quarta C
Ho una pessima memoria e questa è una delle cose che più mi rattristano quando penso a me stessa. Non tanto perché non potrò raccontare ai nipotini quello che sto vivendo adesso. Più che altro, perché è proprio nei primi anni della mia vita che accadde la maggior parte di quelle cose che vale la pena di raccontare.
Poi, ogni tanto, mentre sto facendo qualcosa di stupido tipo piegare malamente le maglie - non stirate - prima di metterle nell'armadio, qualcosa riaffiora. Un'immagine, una frase. Chissà, forse, se vivrò abbastanza a lungo, poco per volta mi ricorderò tutto. L'unico mio compito sarà poi quello di rimettere i pezzi di puzzle in ordine. Ed è così che mi sono ricordata di un pomeriggio di tanti anni fa. Ero in quarta elementare, ormai dominavo gran parte delle parole di uso quotidiano in italiano. Ma, chiaramente, c'era ancora molto da imparare. La fine dell'anno si avvicinava, e quel giorno la maestra annunciò che anche io avrei preso parte alla recita di fine anno. Servivano due extraterrestri. Non so se per scelta ragionata o per puro caso, uno dei due lo avrei interpretato io. Saremmo state io e la mia amica del cuore, Tiziana. "Voi farete Ester e Foster", ci disse la maestra. All'annuncio seguirono le grida entusiaste della mia amica e alcuni schimazzi del resto della classe. "Domani facciamo le prove, perciò portatevi uno scolapasta da mettere in testa", aggiunse. Seguì una risata generale di bambini isterici ai quali faceva morire dal ridere l'idea di mettersi uno scolapasta in testa. Io non capii. Non avevo mai sentito "scolapasta" prima di allora. Ma, per evitare imbarazzi, mi misi a ridere sguaiatamente, accertandomi che la mia risata sovrastasse quelle degli altri. Alla fine della giornata, tornai a casa distrutta. Spiegai a mia madre che la maestra ci aveva detto che avremmo fatto gli extraterrestri. Poi, aggiunsi, ha detto che avremmo dovuto metterci in testa una cosa, ma io non ho capito cosa. Mia madre provò ad aiutarmi. "Non ti ricordi la parola che ha usato?" No, non mi ricordavo. "Nemmeno l'iniziale? Una parte della parola? Come finiva?" ritentò. "Non mi ricordo, ti ho detto! Aspetta...c'entrava qualcosa con...gli spaghetti!" risposi sollevata. Un minuto dopo mia madre mi faceva fare le prove davanti allo specchio con un pacco di spaghetti da un chilo sulla testa. "Ma a me non sembri un extraterrestre così..." mi disse rassegnata. "Prova con questa". Mi porse una pentola di metallo. La misi in testa, ma era piuttosto pesante e mi impediva di vedere e di parlare. "Forse intendeva un piatto! Il piatto in cui si mangiano gli spaghetti!" esclamò. "Forse..." risposi sconsolata. Mia madre a quel punto mi propose di telefonare a Tiziana per chiederle che cosa diavolo ci avesse detto di portare a scuola la maestra. Ma mi opposi fermamente. Le dissi che non potevo ammettere di essermi sbellicata dalle risate a una battuta che manco avevo capito. Al che, mia madre, come al solito, provò a trovare una soluzione. La mattina dopo, mi fece trovare vicino alla porta d'ingresso una busta piena di roba. Dentro c'erano una pentola, un pacco di spaghetti, un piatto di ceramica, alcuni piatti di plastica, due forchette - che possono fare da antenne, aveva detto mia madre - e, per non farmi mancare niente, anche una bottiglia di passata di pomodoro. "Una di queste cose sarà sicuramente", mi rassicurò. Con lo sguardo basso di chi sta per andare incontro a un destino nefasto, misi lo zaino in spalla e raccolsi la pesante busta da terra. Aprii la porta per uscire, quando sentii mia madre gridare. "Aspetta! Prendi anche questo!". Prima ancora di accorgermi di cosa mi stesse porgendo, aveva infilato nella busta un contenitore pieno di spaghetti al pomodoro - cotti e pronti per essere mangiati! "Chissà, forse intendeva qualcosa del genere...", mi spiegò, con uno sguardo per niente convinto. "E tieni anche questo...via". Riaprii la busta. Questa volta, vi trovai uno scolapasta azzurro che mia madre aveva aggiunto mentre mi inseguiva giù dalle scale.
Arrivai a scuola, quella mattina, con lo stomaco chiuso. Ero così piena di imbarazzo che non ridevo più ad alcuna battuta, nemmeno a quelle che capivo. Poi, arrivò il momento di fare le prove per la recita. Con estremi sforzi trascinai per la sala la mia busta, pesantissima. Da lì, provenivano certi rumori che mi facevano vergognare di esistere. La pentola che cozzava contro il piatto di ceramica, e il contenitore di plastica che sbatteva contro la bottiglia di salsa. Insomma, sembravo una profuga con la busta di aiuti umanitari destinti ai profughi. Finalmente incrociai lo sguardo di Tiziana. "Ma che diavolo porti in quella borsona?" mi chiese. Feci finta di non sentire e ficcai la testa dentro la busta. Mentre temporeggiavo fingendo di cercare non so nemmeno io cosa, con la coda dell'occhio vidi che sfilava dallo zaino uno scolapasta di plastica arancione e, con un po' di esitazione, se lo metteva in testa. Tirai un sospiro di sollievo che deve aver fatto scuotere anche quella busta ingombrante. Infilai la mano dentro, e cacciai fuori lo scolapasta che mia madre, all'ultimo secondo, mi aveva sporto, sperando potesse servirmi. Ero felice. Mi misi in testa lo scolapasta con orgoglio. Tutti ridevano di quanto buffe eravamo Tiziana ed io, ma io ero così sollevata che non provai il minimo imbarazzo. "Io sarò Ester", disse Tiziana. "E io sarò Foster", risposi con fierezza. "E quando esco da qui, ho un pic-nic che mi aspetta".
mercoledì 1 maggio 2013
AAA gruppo di musica balcanica cercasi
giovedì 4 aprile 2013
lunedì 18 marzo 2013
venerdì 15 febbraio 2013
Le regole: il caffè
1. Non ti scusare ogni volta, chiedendo un "caffè normale": con un semplice "caffè" il barista dovrebbe capire.
2. Il caffè macchiato è da vecchia. Il cappuccino da bambina viziata. Il caffè senza zucchero è la vera bomba.
3. Se ordini un cappuccino dopo pranzo, il barista ti chiederà cosa ne pensi del tuo soggiorno in Italia.
4. Non ci sperare: il cioccolatino che ti ritrovi nel piattino è fondente.
5. Il caffè marocchino è una mostruosità in tazzina. Uno schiaffo agli amanti del caffè, e ancor di più agli amanti del cioccolato.
lunedì 11 febbraio 2013
mercoledì 6 febbraio 2013
Parlare del mostro senza mai citarlo, questa è classe
Posto che i soldi sono importanti, lo sono in politica e lo sono nella vita di ciascuno, e che disprezzarli è un detestabile snobismo; disgusta, però, questo continuo farne il centro di gravità permanente, la quadratura del cerchio, il solo argomento (insieme al sesso) che merita una strizzata d'occhio, una gomitata d'intesa. Il concetto stesso di "idee politiche" - figuriamoci l'etica o la cultura o i diritti o quant'altro - svanisce in mezzo al puzzo disgustoso di una continua, ininterrotta compravendita di consenso, di fiducia, perfino di amore. Il losco intendersi tra il multimiliardario e i derelitti che gli danno credito concede a questi ultimi un sentimento soltanto, che è quello dell'invidia. Chi ha dignità e tiene in buon conto se stesso, non importa se povero o ricco, di destra o di sinistra, capisce che il solo possibile rapporto, con quel signore, è non avere con lui alcun rapporto. Starne alla larga. Chi lo tocca, o anche solo lo ascolta, diventa come lui".
Michele Serra