lunedì 27 maggio 2013

Ester e Foster - alieni in quarta C

Ho una pessima memoria e questa è una delle cose che più mi rattristano quando penso a me stessa. Non tanto perché non potrò raccontare ai nipotini quello che sto vivendo adesso. Più che altro, perché è proprio nei primi anni della mia vita che accadde la maggior parte di quelle cose che vale la pena di raccontare.
Poi, ogni tanto, mentre sto facendo qualcosa di stupido tipo piegare malamente le maglie - non stirate - prima di metterle nell'armadio, qualcosa riaffiora. Un'immagine, una frase. Chissà, forse, se vivrò abbastanza a lungo, poco per volta mi ricorderò tutto. L'unico mio compito sarà poi quello di rimettere i pezzi di puzzle in ordine. Ed è così che mi sono ricordata di un pomeriggio di tanti anni fa. Ero in quarta elementare, ormai dominavo gran parte delle parole di uso quotidiano in italiano. Ma, chiaramente, c'era ancora molto da imparare. La fine dell'anno si avvicinava, e quel giorno la maestra annunciò che anche io avrei preso parte alla recita di fine anno. Servivano due extraterrestri. Non so se per scelta ragionata o per puro caso, uno dei due lo avrei interpretato io. Saremmo state io e la mia amica del cuore, Tiziana. "Voi farete Ester e Foster", ci disse la maestra. All'annuncio seguirono le grida entusiaste della mia amica e alcuni schimazzi del resto della classe. "Domani facciamo le prove, perciò portatevi uno scolapasta da mettere in testa", aggiunse. Seguì una risata generale di bambini isterici ai quali faceva morire dal ridere l'idea di mettersi uno scolapasta in testa. Io non capii. Non avevo mai sentito "scolapasta" prima di allora. Ma, per evitare imbarazzi, mi misi a ridere sguaiatamente, accertandomi che la mia risata sovrastasse quelle degli altri. Alla fine della giornata, tornai a casa distrutta. Spiegai a mia madre che la maestra ci aveva detto che avremmo fatto gli extraterrestri. Poi, aggiunsi, ha detto che avremmo dovuto metterci in testa una cosa, ma io non ho capito cosa. Mia madre provò ad aiutarmi. "Non ti ricordi la parola che ha usato?" No, non mi ricordavo. "Nemmeno l'iniziale? Una parte della parola? Come finiva?" ritentò. "Non mi ricordo, ti ho detto! Aspetta...c'entrava qualcosa con...gli spaghetti!" risposi sollevata. Un minuto dopo mia madre mi faceva fare le prove davanti allo specchio con un pacco di spaghetti da un chilo sulla testa. "Ma a me non sembri un extraterrestre così..." mi disse rassegnata. "Prova con questa". Mi porse una pentola di metallo. La misi in testa, ma era piuttosto pesante e mi impediva di vedere e di parlare. "Forse intendeva un piatto! Il piatto in cui si mangiano gli spaghetti!" esclamò. "Forse..." risposi sconsolata. Mia madre a quel punto mi propose di telefonare a Tiziana per chiederle che cosa diavolo ci avesse detto di portare a scuola la maestra. Ma mi opposi fermamente. Le dissi che non potevo ammettere di essermi sbellicata dalle risate a una battuta che manco avevo capito. Al che, mia madre, come al solito, provò a trovare una soluzione. La mattina dopo, mi fece trovare vicino alla porta d'ingresso una busta piena di roba. Dentro c'erano una pentola, un pacco di spaghetti, un piatto di ceramica, alcuni piatti di plastica, due forchette - che possono fare da antenne, aveva detto mia madre - e, per non farmi mancare niente, anche una bottiglia di passata di pomodoro. "Una di queste cose sarà sicuramente", mi rassicurò. Con lo sguardo basso di chi sta per andare incontro a un destino nefasto, misi lo zaino in spalla e raccolsi la pesante busta da terra. Aprii la porta per uscire, quando sentii mia madre gridare. "Aspetta! Prendi anche questo!". Prima ancora di accorgermi di cosa mi stesse porgendo, aveva infilato nella busta un contenitore pieno di spaghetti al pomodoro - cotti e pronti per essere mangiati! "Chissà, forse intendeva qualcosa del genere...", mi spiegò, con uno sguardo per niente convinto. "E tieni anche questo...via". Riaprii la busta. Questa volta, vi trovai uno scolapasta azzurro che mia madre aveva aggiunto mentre mi inseguiva giù dalle scale.
Arrivai a scuola, quella mattina, con lo stomaco chiuso. Ero così piena di imbarazzo che non ridevo più ad alcuna battuta, nemmeno a quelle che capivo. Poi, arrivò il momento di fare le prove per la recita. Con estremi sforzi trascinai per la sala la mia busta, pesantissima. Da lì, provenivano certi rumori che mi facevano vergognare di esistere. La pentola che cozzava contro il piatto di ceramica, e il contenitore di plastica che sbatteva contro la bottiglia di salsa. Insomma, sembravo una profuga con la busta di aiuti umanitari destinti ai profughi. Finalmente incrociai lo sguardo di Tiziana. "Ma che diavolo porti in quella borsona?" mi chiese. Feci finta di non sentire e ficcai la testa dentro la busta. Mentre temporeggiavo fingendo di cercare non so nemmeno io cosa, con la coda dell'occhio vidi che sfilava dallo zaino uno scolapasta di plastica arancione e, con un po' di esitazione, se lo metteva in testa. Tirai un sospiro di sollievo che deve aver fatto scuotere anche quella busta ingombrante. Infilai la mano dentro, e cacciai fuori lo scolapasta che mia madre, all'ultimo secondo, mi aveva sporto, sperando potesse servirmi. Ero felice. Mi misi in testa lo scolapasta con orgoglio. Tutti ridevano di quanto buffe eravamo Tiziana ed io, ma io ero così sollevata che non provai il minimo imbarazzo. "Io sarò Ester", disse Tiziana. "E io sarò Foster", risposi con fierezza. "E quando esco da qui, ho un pic-nic che mi aspetta".

mercoledì 1 maggio 2013

AAA gruppo di musica balcanica cercasi

Sì, proprio così. Bisogna fondare un gruppo di musica balcanica chiamato "Banda tipo Bregovic". Io scenderei adesso a sentirli in piazza.