Rioperarsi.
Traumatizzata dal primo intervento a poco più di un anno fa, ho colto con contenuto entusiasmo la notizia di dover rioperarmi, consolata solo dalla decisione di rivolgermi a un'altra struttura, per la precisione sita a Verona. E stavolta è stata proprio diversa.
L'intervento sarebbe stato ben più complicato. Tra i rischi più temuti cui andavo incontro, la possibilità di avere una "deviazione intestinale" al momento del risveglio dall'operazione. Il 10% di probabilità sembra poco. Ma se sul piano ci sono circa 30 ragazze, sapere che 3 di loro girano per il corridoio con un sacchetto in tasca non è poco. Ebbene sì. Erroneamente ho domandato di cosa si trattasse, e mi è stato spiegato che, in parole povere, per un mese non fai la cacca in bagno ma la fai in un sacchetto, che ti porti sempre addosso, anche perchè è collegato a un tubicino che ti esce dall'intestino. Appena giunta a conoscenza di questa eventualità, ho modificato la prospettiva. Niente era più così temibile come l'idea di risvegliarmi con un sacchetto penzolante giù dal letto. E così, in un batter d'occhio è giunto il giorno prima dell'intervento. Trovo un'assurdità fissare il ricovero al giorno prima dell'intervento. Perchè è inutile. E' inutile, aggirarsi per i corridoi in pigiama e ciabatte, tra i lamenti provenienti dai vari angoli, e sentirsi bene. E' offensivo per tutte le altre ragazze che a stento riescono a fare due passi intorno al letto. Eppure, funziona così. Entrata in ospedale, accompagnata da mia sorella e da S., mi accingo a fare amicizia con il letto assegnatomi. Ed ecco l'armadietto. Mentre sono al cellulare, un'infermiera entra in stanza, mi alza la manica della maglia e mi fa una puntura a sorpresa. "Ehi, ma che sta facendo?" le chiedo, mentre sento il braccio completamente dolente, la stronza ha beccato un nervo. "La prima di 21 punturine!", sorride e se ne va. Continuo la mia conversazione al telefono, ma poco dopo mi assale l'effetto dei lassativi e corro in bagno, desiderando sprofondare anch'io nella tazza insieme ai miei rifiuti. Terminata l'ora delle visite, saluto i 2 virgilii e mi metto a letto. Sono le 21. Sarà dura addormentarsi. Allora mi alzo e vado a fare un giro nel corridoio. Nella sala d'aspetto, trovo altre 2 ragazze, anche loro "sane" come me, in attesa del mattino successivo. "Ehi ragazze, di che si parla?" "Del sacchetto!", rispondono contemporaneamente. Al che, mi fingo al telefono. Poco dopo, riprendiamo a parlare. In poco tempo mi rendo conto che sono loro le persone che mi capiscono più di chiunque altro e ci facciamo un po' di chiacchiere. A mezzanotte, decidiamo che è l'ora di dormire, anche perchè è permesso l'ultimo sorso d'acqua. Da lì in poi, tutto scorre velocemente. Mi sveglio alle 6, l'intervento è alle 7. Mentre sono in bagno, vengono a chiamarmi, con il lettino e il camice bianco pronti. Infilo il camice, quello che ti lascia il culo scoperto, e rincorro l'infermiera per stendermi sul letto. Saluto mia sorella, S. no. S., avessi potuto, lo avrei ucciso. Perciò mi dò forza. Al primo intervento al momento del saluto a mia madre avevo iniziato a piangere, senza smettere fino a che non mi hanno fatta addormentare. Al secondo intervento, ero tranquilla. In sala operatoria, le operazioni sono state molto più lunghe questa volta. E perciò ho avuto tutto il tempo di parlare con medici, assistenti e strumentisti. "Ehi ragazzi, una domanda che ho sempre voluto fare. Ma voi le guardate le serie tv con i medici? Che ne so, ER, Dr. House, Grey's Anatomy.." La risposta generale è stata "No." "Dopo tutte queste ore in ospedale, non ti viene proprio voglia di vedere un altro ospedale", ha spiegato uno di loro. La strumentista, timida, ha confessato "Io vedo solo Grey's Anatomy..." e io ho detto "Io vedo Scrubs, non lo conoscete? Dovreste vederlo!" e così via. Dopo vari scambi di consigli su serie tv, compilation e siti di alta moda che propongono sconti imperdibili, era giunta l'ora x. Mi stavo così divertendo che non volevo addormentarmi. E continuavo a ripetere "No, ragazzi, mi sto addormentando, non voglio.." e poi, tac. La luce si è spenta. Al risveglio, la prima cosa che volevo fare era controllare se avevo sto benedetto sacchetto. Ma non c'è stato bisogno. "Niente sacchetto, sore!", ha detto mia sorella appena ho aperto gli occhi. E credetemi, era la prima cosa che in quel momento volevo sentire. La seconda, era un'altra. E per sentirmela dire, ho dovuto aspettare 3 o 4 giorni. Ma poi il medico è arrivato, si è seduto sul letto e ha iniziato a spiegare gli esiti dell'intervento. "Quindi, niente è precluso? Posso ancora procreare?" gli ho chiesto, con le pupille a forma di biberon. "Può procreare", ha detto il medico, "appena avrà deciso con chi". E se n'è andato. La terza cosa che quando siete in un ospedale e avete appena terminato un intervento, a quanto pare ben riuscito, volete sentire è ovvia. "Cosa ci fa lei ancora qui?" mi ha chiesto, l'ottavo giorno, un dottore. "Non so, aspettavo la lettera di dimissioni", gli ho risposto. "E va bene. Quale desidera, la busta A, la busta B o la busta C?", mi chiede. "Vada per la C", replico. "Eccola qua, la apra". Ebbene sì. Erano arrivate le dimissioni.
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