"Non sono nè il primo nè l'unico, nel nostro paese o fuori di esso, a pensare che lei sia l'uomo che impersona l'unità jugoslava, e che la sua opera coincida con il significato della storia che dopo tutto e nonostante tutto, ci ha qui uniti. Le sono ben note le congetture sul "che cosa accadrà quando Tito se ne va". Non intendo parlarne. Ma lei conosce sufficientemente bene le preoccupazioni delle persone organicamente legate a ciò cui tutta la sua opera ha dato impulso e fermezza? Vorrei dirle qualcosa in proposito.
Tutti, in un modo o nell'altro, paventiamo il suo abbandono della scena politica, persino coloro che non desiderano altro. Del resto, lei sa bene quali soluzioni si prevedono, dall'anarchia e dalla scissione, dal conflitto dei nazionalismi o guerra fratricida all'intervento militare, interno o straniero, al ritorno di "una mano forte", al riallineamento nel campo orientale e così via. Su questo terreno solcato in lungo e in largo ci sono sempre state menti annebbiate ed entusiasmi sconsiderati che hanno trovato in varie parti eco e seguaci. La ragione politica è qui più una eccezione che la regola.
[...]
Se le cose fossero andate in maniera più semplice di quanto non sia stato in realtà, sono convinto che lei si sarebbe con tutta probabilità già fatto da parte, lasciando ai giovani i numerosi incarichi e gli enormi impegni da cui è gravato. Ho riflettuto su questo come nostro problema particolare e, a un tempo, come problema generale di una personalità storica quale lei è. Di fronte a simili scelte si sono trovate altre figure storiche del nostro tempo: Churchill, Stalin, De Gaulle, Mao Zedong, ognuno con le sue ragioni, generali e particolari, per "rimanere" ancora o "ritirarsi" al momento giusto. So che in questo caso, da noi, le ragioni particolari hanno più peso che altrove.
Ma penso anche a come potremo garantire al meglio il futuro di una comunità come la nostra quando non potremo più contare sulle sue iniziative e sul suo senno politico. E allora giungo alla conclusione che la cosa migliore per questo paese, con tutte le differenze e le contraddizioni del suo passato e del suo presente, sarebbe che fosse lei stesso, con la fiducia di cui gode e l'autorità che ha conseguito, ad assicurare la propria sostituzione. [...] Non voglio dire con questo che lei debba smettere di operare, ma che lei lasci una dopo l'altra le sue funzioni, controllandone il funzionamento dalla debita distanza e con immutata autorità. Sono convinto che questo darebbe a tutta la sua opera il senso più conveniente e la conclusione più degna nella storia e davanti alla storia.
[...]
Coloro che plasmano la storia - e lei è uno di questi - spesso non tengono conto di cose che sembrano marginali o poco importanti e che invece successivamente la storia tende a ingigantire: a volte a loro vantaggio, più spesso a loro danno."
Predrag Matvejevic a Josip Broz Tito
Zagabria, 17 luglio 1974
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